Si deve al geofisico tedesco Alfred Wegener l’ipotesi della deriva dei
continenti, sulla quale si basa la moderna teoria della tettonica delle placche.
Incuriosito dalle forme simili delle coste atlantiche dell’Africa e del
Sud America, Wegener giunse a ipotizzare che, in un lontano passato,
tutti i continenti fossero uniti in un grande supercontinente chiamato
Pangea che si sarebbe fratturato e diviso progressivamente nel corso
dell’era Mesozoica. A sostegno della propria teoria Wegener portò
argomenti di varia natura, atti a fornire una spiegazione scientifica
basata su dati geofisici, geologici, paleontologici e paleoclimatici.
Tuttavia, questa teoria non venne accettata dalla comunità scientifica
di allora, dal momento che vi era un'incompatibilità tra il movimento
continentale e le idee accettate sulla struttura della crosta.
Solamente tra il 1950 e il 1964 un'equipe di geologi e di geofisici
portò nuove prove a favore delle argomentazioni di Wegener.
Lo strato roccioso esterno della Terra, che comprende la crosta
terrestre e la parte del mantello più prossima alla superficie, è
chiamato litosfera.
Esso ricopre uno strato più ‘molle’, a comportamento viscoso, detto
astenosfera, nel quale le rocce si trovano vicino al punto di fusione
ed il materiale può fluire molto lentamente. La litosfera è divisa in
sette grandi zolle o placche tettoniche (euroasiatica, africana,
americana, indo-australiana, pacifica, di Nazca e antartica) e in
un’altra dozzina di dimensioni inferiori. Questi frammenti di litosfera
presentano una forma irregolare e si incastrano tra di loro come parti
di un puzzle che ricopre parte della superficie terrestre. Secondo la
teoria della tettonica delle placche queste porzioni di litosfera hanno
subito degli spostamenti, nel corso dei tempi geologici, grazie alla
loro possibilità di comportarsi come enormi blocchi galleggianti sul
substrato viscoso (‘molle’) dell’astenosfera.
All’interno di questa zona si verificherebbero, infatti, movimenti
convettivi del tutto analoghi a quelli che agitano l’acqua in
ebollizione. Analogamente all’acqua, il materiale costituente il
mantello riscaldato dal basso diviene meno denso e risale verso la
superficie. Raffreddandosi lungo il percorso diviene più denso e torna
a ridiscendere formando così delle celle convettive chiuse. Nella parte
superiore queste celle agiscono come dei nastri trasportatori che
trascinano le placche sovrastanti facendole muovere ad una velocità che
può raggiungere i 15 cm per anno. Zone di distensione sono quelle
nelle quali le placche si allontanano tra di loro fino a formare bacini
oceanici; zone di compressione sono quelle lungo le quali le placche si
scontrano finendo per formare catene montuose. Lungo i margini delle
placche è concentrata la maggior parte dei terremoti e dei vulcani
terrestri.
I margini delle zolle o placche litosferiche possono essere di tre tipi:
i margini divergenti,
si trovano in corrispondenza delle dorsali oceaniche (dorsale
medio-atlantica che si sviluppa dal Polo Nord al Polo Sud) dove le
zolle si separano e si forma nuova crosta;
i margini convergenti,
dove le placche si avvicinano e la crosta si consuma, si trovano in
corrispondenza delle fosse oceaniche (Pacifico occidentale) e delle
zone di subduzione. Per subduzione si intende lo scorrimento di una
placca litosferica sotto un’altra ed il suo conseguente riassorbimento
nella astenosfera (come è accaduto lungo le coste pacifiche del
sud-america, portando alla formazione della catena montuosa delle
Ande); i margini trasformi, dove le
placche coincidono con una grande zona di frattura e scivolano
semplicemente l’una accanto all’altra senza produrre né distruggere la
litosfera.